IL CENTRO STUDI BIBLICI
E' stato dedicato a fr. Giovanni Vannucci, dei "Servi di Maria" per mantenere sempre attuale il suo pensiero profetico nel'Ordine e nella Chiesa e per continuare nella sua linea di approfondimento serio e qualificato sulle Sacre Scritture come risposta alle esigenze degli uomini contemporanei. Obiettivo principale del Centro Studi è la divulgazione popolare della Parola di Dio mediante incontri, conferenze e settimane di spiritualità in numerose città italiane.
A tale scopo il Centro Studi cura la diffusione dei risultati dello studio attraverso la pubblicazione di libri, articoli e dispense. In questo stesso ambito vanno segnalate la collaborazione del Centro con radio e televisioni e la diffusione via internet degli studi e del materiale biblico attraverso strumenti innovativi quali ad esempio: Twitter, Facebook e Youtube L'originalità del Centro Studi Biblici è che lo studio, rigorosamente scientifico, del testo biblico viene poi comunicato con un linguaggio accessibile a tutti. Questo orientamento è stato voluto per cercare di colmare il divario esistente tra il grande fermento nel campo degli studi biblici e la scarsa divulgazione degli stessi a livello popolare. Questa attenzione al linguaggio ha dimostrato che è possibile proporre il messaggio evangelico senza ricorrere alle terminologie tecniche proprie dell'esegesi e alle categorie tipiche del linguaggio religioso-clericale.
Questo ha fatto sì che l'attività del Centro abbia attirato l'interesse anche da parte di quelle persone che sono lontane o indifferenti ad argomenti religiosi. Per questo motivo il Centro accoglie non solo quei credenti interessati allo studio della Scrittura che vogliono approfondire le radici della loro fede, ma anche i numerosi "non credenti" che si avvicinano al testo sacro per una conoscenza inizialmente solo "intellettuale" e che poi intraprendono un cammino di fede.
Il servizio che oggi il Centro è in grado di offrire è
reso possibile grazie alla generosa collaborazione di amici che
fin dall'inizio hanno creduto e collaborato all'attuazione
di questo progetto.
Essi hanno costituito l' Associazione Centro Studi Biblici
" Giovanni Vannnucci ", composta da persone che
condividono e sostengono le proposte e le iniziative del Centro
Studi.
JUAN MATEOS: un innovatore dell’esegesi biblica
Il 23 settembre 2003 moriva a Malaga, all’età di 86 anni, il gesuita spagnolo Juan Mateos.
Uomo di cultura enciclopedica e dalla prodigiosa memoria, il sapere di Juan Mateos spaziava in tutti i campi dello scibile umano. A tanta sapienza Mateos univa una grande capacità di relazionarsi con ogni persona, con una particolare attenzione verso coloro che nessuno considerava. Quel che Mateos scriveva e insegnava nasceva sì da un approfondimento estremamente esigente dei testi biblici, ma anche da una pratica quotidiana del messaggio evangelico, che concretizzava in una vita di grande austerità e di solidarietà con gli ultimi.
Prima di dedicarsi alla traduzione della Scrittura, Mateos era uno fra gli specialisti delle liturgie orientali più prestigiosi del mondo, e visse molti anni a Roma insegnando presso il Pontificio Istituto Orientale, e all’Istituto Biblico, alternando le lezioni a conferenze e a corsi di studio in ogni parte del mondo.
Fu proprio studiando e insegnando Liturgia Orientale che Mateos sentì nascere il desiderio di investigare il Nuovo Testamento, per andare alle fonti dei vari riti e così comprendere meglio il perché delle diversificazioni presenti nella stessa Chiesa cattolica. Cominciò a chiedersi come mai certe regole ritenute indispensabili nel rito latino non lo fossero nei riti orientali, e viceversa, e perché nel Codice di Diritto Canonico latino fossero proibite o permesse cose che nella tradizione orientale non lo erano affatto.
La ricerca delle fonti delle varie tradizioni cristiane lo portò a relativizzare certe formulazioni categoriche assunte nel tempo dalla Chiesa cattolica e ad avere una grande apertura verso le differenti espressioni che la cristianità aveva assunto nei secoli, molto tempo prima che il Concilio Vaticano II ne riconoscesse la validità.
Proprio quando era all’apice del suo insegnamento e le sue ricerche erano considerate testi base per lo studio e per il rinnovamento delle liturgie orientali, Mateos abbandonò questa disciplina e si mise alla ricerca delle fonti cristiane, iniziando uno studio sistematico del Nuovo Testamento. Si rese infatti conto che il suo lavoro di grande erudizione in campo liturgico, anche se gli dava prestigio scientifico, non aveva alcuna incidenza sulla realtà, mentre i vangeli possedevano un dinamismo capace di trasformare la vita del credente.
I testi antichi e il linguaggio contemporaneo
Profondo conoscitore della lingua greca, oltre che delle altre lingue bibliche, Mateos iniziò una meticolosa analisi dei testi evangelici che aveva in parte già esaminato nello studio degli antichi lezionari (testi neotestamentari usati nella liturgia). Per il risultato delle sue ricerche, Mateos, assieme al biblista Luis Alonso Schökel, fu incaricato dai vescovi spagnoli di preparare una nuova traduzione in spagnolo dei testi biblici usati nella liturgia.
Da questo lavoro iniziale, Mateos e Schökel partirono per una traduzione completa della Bibbia, ponendo la massima attenzione alla fedeltà al testo originale, al suo stile letterario e al linguaggio contemporaneo. Dai loro studi nacque nel 1975 la Nueva Biblia Española, “nuova” non perché fosse la più recente traduzione della Bibbia in spagnolo, ma per essere stata realizzata con criteri assolutamente nuovi e mai applicati a questo genere di traduzioni: l’esegetico, il linguistico e lo stilistico, restituendo a ogni libro della Bibbia il suo stile e il contesto letterario. Così il Cantico dei Cantici venne tradotto come poesia amorosa, Giobbe come lavoro teatrale e il Qoeleth nello stile sentenzioso del sapiente. L’American Bible Societies giudicò la Nueva Biblia Española come “la migliore traduzione in lingua europea”, sia per la sua bellezza letteraria, sia per il suo rigore linguistico.
Come fece per lo studio delle Liturgie Orientali, Mateos creò un suo metodo esegetico per lo studio del Nuovo Testamento basato sull’analisi filologica e semantica di ogni singola parola, pubblicando diversi studi al riguardo (El aspecto verbal en el NT (1979), Cuestiones de gramática y léxico en el Nuevo Testamento (1979), Método de análisis semántico aplicado al griego del Nuevo Testamento (1989). Da queste sue ricerche si aprirono sprazzi di luce che illuminavano i testi biblici di una forma inedita e affascinante. Nella traduzione dei vangeli, infatti, Mateos sottopose la sua eccezionale conoscenza del greco biblico a una minuziosa e spesso puntigliosa verifica tanto nell’aspetto semantico come in quello semiotico, analizzando a volte per settimane una singola espressione verbale, finché questa non svelava il suo significato più profondo.
Alla padronanza nell’analisi filologica, Mateos univa una grande conoscenza dell’ambiente culturale nel quale nacquero i vangeli, degli stili e delle tecniche letterarie dell’epoca, che gli permisero di far emergere dal testo evangelico i numerosi e a volte impercettibili riferimenti a passi dell’Antico Testamento, indispensabili per comprendere meglio il pensiero degli evangelisti.
Come un’opera d’arte dopo il restauro
Il risultato di tanto lavoro fu una traduzione dei vangeli, il più possibile fedele al pensiero e all’arte degli evangelisti, che fece molto scalpore sia per la freschezza del linguaggio sia per la loro comprensione. Come un’opera d’arte dopo un radicale restauro, i vangeli brillavano di una luce nuova, e come tutte le luci, se per alcuni illuminava la propria vita, per altri era di un bagliore intollerabile. Infatti la nuova traduzione del testo biblico rendeva palese che i vangeli mal si prestavano a essere messi a servizio di un’ideologia religiosa o a giustificazione di tesi dommatiche consacrate dall’uso. D’altra parte non si poteva chiedere che i testi del Nuovo Testamento, che esprimevano l’esperienza cristiana da differenti punti di vista e in modo non sistematico o omogeneo, fossero tradotti e commentati usando formulazioni teologiche dei secoli posteriori.
Dalla lettura e traduzione del testo originale dei quattro vangeli da parte di Mateos, emerse che il Gesù degli evangelisti era pienamente orientato al bene dell’uomo e proponeva una relazione con Dio completamente nuova, come quella di un figlio col Padre, un rapporto che relativizzava ogni istituzione ritenuta sacra, dal Tempio alla Legge e rendeva superflue le mediazioni del sacerdozio e del culto. Obiettivo di Gesù era il regno di Dio, che, secondo tutta la tradizione di Israele, era la società giusta che doveva inaugurare il Messia. Ma a differenza del regno atteso da Israele, questa società non era basata sull’osservanza della Legge, ma sull’accoglienza dello Spirito che trasforma l’uomo, e non si sarebbe limitata a Israele, ma aveva un orizzonte universale. Nei vangeli il Padre di Gesù si dimostrava un Dio innamorato degli uomini, un Signore il cui progetto era la creazione di un uomo che avesse la condizione divina, e il peccato non era la trasgressione a leggi e precetti, ma il rifiuto della pienezza di vita offerta dal Padre.
All’attività scientifica Mateos accompagnava quella pastorale, pubblicando libri scritti con linguaggio semplice e chiaro al fine di far giungere a più persone possibili la bellezza dei vangeli. Il suo primo libro di divulgazione, nel 1972, fu Cristianos en fiesta. Más allá del cristianismo convencional (trad. it. Cristiani in festa, EDB, 1979),che già dal significativo titolo mostrava la nuova luce che scaturiva dai vangeli. In questo libro emergeva chiaramente che molte cose che i cristiani ritenevano sacre non solo non lo erano, ma ostacolavano la comunione con Dio e che, al contrario, quel che era considerato trasgressione o peccato era irrilevante agli occhi del Signore. A questo primo libro seguirono una serie di testi adatti a tutti coloro che desideravano avere una migliore comprensione dei vangeli: L’alternativa Gesù (Cittadella, 1989), L’utopia di Gesù (Cittadella, 1991) e Vangelo: figure e simboli (Cittadella, 1991), studio indispensabile per comprendere il linguaggio degli evangelisti e il significato delle immagini usate dagli stessi.
Nel 1979 Mateos pubblicò, insieme a Juan Barreto, una traduzione e commento del vangelo di Giovanni (Il Vangelo di Giovanni, Cittadella, 1982), che fece riscoprire la ricchezza del quarto evangelista e la bellezza del suo messaggio, tutto centrato sul progetto di Dio sull’umanità: far sì che l’uomo sia espressione della sua stessa realtà divina.
Dopo l’avvento di papa Woytila, Mateos lasciò Roma, e nel 1980 si trasferì a Granada, dove proseguì le sue ricerche sul vangelo di Marco e nel 1982 pubblicò lo studio Los “Doce” y otros seguidores de Jesús en el Evangelio de Marcos, che gli costò la perdita dell’insegnamento nelle Pontificie Università di Roma. In questo volume Mateos sosteneva che i dodici nel vangelo di Marco non andavano intesi come entità numerica bensì teologica, poiché in questa cifra l’evangelista indicava tutti i seguitori di Gesù provenienti da Israele.
Intorno a lui una nuova esegesi
Liberato dall’insegnamento, Mateos dedicò tutte le sue energie alla traduzione dei testi evangelici, e da allora la produzione letteraria, scientifica e pastorale di Mateos e dell’équipe biblica internazionale creatasi attorno a lui cominciò a produrre abbondanti frutti. Nel 1981 pubblicò insieme a Fernando Camacho la traduzione e il commento al vangelo di Matteo (Il Vangelo di Matteo, Cittadella, 1986), dove risaltava l’interpretazione delle beatitudini: non una consolante litania per confortare i tribolati del mondo, ma il fattivo invito a eliminare le cause della loro sofferenza. Gesù proclama beati i poveri, gli afflitti e gli affamati non in quanto tali, ma perché queste loro situazioni di sofferenza verranno eliminate da parte della comunità dei credenti. Al vangelo di Matteo seguirà una prima traduzione del vangelo di Marco (Marco, testo e commento, Cittadella, 1996).
Dieci anni dopo l’esperienza di Granada, Mateos si trasferì a Cordoba, dove iniziò con altri collaboratori un gruppo di studio della lingua greca dando il via alla realizzazione del suo grande sogno: un dizionario scientifico del greco biblico (Diccionario Griego-Español del Nuevo Testamento).
Infaticabile lavoratore, quella di Mateos era un’appassionata sete di sapere che lo spingeva instancabilmente, dal mattino alla sera, allo studio dei vangeli. Fino agli ultimi giorni, anche se gravato dall’infermità, Mateos ha continuato a lavorare al completamento del terzo volume del grande commento al Vangelo di Marco.
L’ultimo libro di Juan Mateos e di Fernando Camacho, edito in lingua italiana, è Il Figlio dell’Uomo, verso la pienezza umana (Cittadella, 2003). In questo libro è come racchiusa la sintesi del lavoro esegetico di Mateos e della sua esperienza vitale. Leggendo queste pagine, si avverte infatti tutta la ricchezza di una vita pienamente realizzata, in quanto posta a servizio degli altri. Giunto alla compiutezza della sua esistenza, Mateos ha compreso ancora meglio la pienezza di Gesù, alla quale è chiamato ogni individuo che “scopre che Dio è amore, datore di vita senza limiti e riserve, e che egli è oggetto di questo amore, il che lo porta ad accettare se stesso e gli garantisce la riuscita del suo progetto vitale; la nuova vita che sperimenta gli fa comprendere che l’umanità e il mondo devono essere oggetto del suo amore attivo, come lo sono per Dio” (Il Figlio dell’Uomo, p. 261).
Mateos è morto lasciando un’enorme eredità, un grande rimpianto e un infinito ringraziamento. Grazie ai suoi studi e alle sue interpretazioni dei testi evangelici, la buona notizia è tornata a essere tale. Numerosi gruppi cristiani e moltissime persone si sono alimentate dei suoi scritti e hanno scoperto il volto di un Padre che ama i suoi figli indipendentemente dal loro comportamento e che, per amore, dona a loro una vita capace di superare la morte, la stessa che ora Juan sta sperimentando in pienezza.
Quando già era gravemente ammalato, richiesto di formulare in una sola espressione la sua esperienza del Cristo, Juan Mateos rispose: “E’ un Signore che continuamente dice: «Non ti preoccupare, fidati di me»”.
Le sue ultime parole sono state: “Sono molto felice”.
GIOVANNI MARIA VANNUCCI
Frate dei Servi di santa Maria, nacque a Pistoia il 26 dicembre 1913. Seguiti gli studi ginnasiali a Firenze e quelli filosofico-teologici a Roma, pronunciò i voti solenni il 13 ottobre 1936 e venne ordinato sacerdote il 22 maggio 1937. Al Pontificio istituto biblico di Roma ottenne la licenza in Sacra Scrittura nel 1943, sotto la guida del noto biblista e filologo professor Vaccari, e nel 1948 la licenza in teologia presso l'Ateneo pontificio dell'Angelicum. Fu a più riprese insegnante di esegesi biblica e di lingua greca ed ebraica, e più tardi di storia delle religioni presso il suo Ordine. La sua vita, animata da un grande amore per la verità e la fraternità condivisa, ebbe alterne vicende; egli soffri incomprensioni a causa della sua vastità e libertà di pensiero in anticipo sui tempi. I suoi interessi culturali vastissimi, affrontati con passione e serietà, spaziavano tra Sacra Scrittura, liturgia e tradizione, mistica, ricerca linguistica e gnoseologica. Dal 1952 si inserì con profetica apertura di mente e novità di linguaggio nella ricca fioritura culturale, religiosa e civile della città di Firenze, unitamente al più noto amico e fratello padre David Maria Turoldo, personalità diversa e complementare a quella di padre Giovanni. Uomo di grande religiosità, unì tradizioni spirituali orientali e occidentali in una profonda saggezza di lettura e di sintesi illuminata dalla realtà di Cristo, contemplato e vissuto come il Vivente e la Parola creatrice; seppe offrire piste affascinanti per una ricerca religiosa autenticamente universale e per un'apertura credente che dalla conoscenza pura della verità porti alla libertà dello spirito. Da molti definito testimone e autore spirituale del nostro tempo, Vannucci scrisse molto, curò alcune collane e collaborò a varie riviste.
Il frutto più bello della sua vita e della sua ricerca, però, si concretizzò nel 1967 quando poté dare avvio a una nuova forma di vita monastica nell'eremo di San Pietro alle Stinche, presso Panzano in Chianti (Firenze), con il semplice intento di offrire un luogo di silenzio, di lavoro e di meditazione aperto a tutti. Il 24 giugno di quello stesso anno, giorno posto sotto il patrocinio di san Giovanni Battista, Vannucci iniziò la nuova esperienza monastica all'interno dell'Ordine, nel solco della più genuina tradizione servitana Da lì sarà più volte invitato a tenere corsi di esercizi spirituali, meditazioni, conferenze e conversazioni anche nell'ambito dei Capitoli provinciali; si dedicherà, inoltre, all'insegnamento di storia delle religioni presso la Pontificia facoltà teologica del Marianum a Roma. Lascerà però il suo eremo sempre un po' controvoglia, prediligendo il silenzio e l'essenziale, che cercava di apprendere e comunicare a tutti. Essenziale che è saggezza e vita semplice, la quale scorra secondo ritmi più interiori che esteriori. La morte di padre Giovanni sopraggiunse per infarto del miocardio il 18 giugno 1984, nell'ospedale della Santissima Annunziata di Bagno a Ripoli nei pressi di Firenze. Fino all'ultimo istante fu lucido, sereno, aperto sul mistero in uno slancio verso prospettive ampie, proiettate al terzo millennio, come ha testimoniato il medico che lo assisteva. Il suo corpo riposa nell'austero prato cimiteriale di San Martino, presso il primitivo eremo dei Servi dì santa Maria a Monte Senario (Firenze).
[Nota biografica di p. Alberto Camici, http://space.tin.it/lettura/albcamic/vannucci.htm
La linea di interpretazione esegetica seguita dal Centro Studi Biblici è quella del metodo biblico creato dal biblista Juan Mateos. A lui Alberto Maggi ha dedicato questo articolo apparso sulla rivista “Rocca”.